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Ma le auto elettriche davvero inquinano di meno?

Milano, 18/02/2025

La crescente attenzione verso la sostenibilità ambientale ha posto le auto elettriche al centro del dibattito sulla riduzione dell’inquinamento atmosferico. Ma in che misura l’adozione esclusiva di veicoli elettrici potrebbe diminuire le emissioni nocive?

Per valutare l’effettivo impatto ambientale delle auto elettriche rispetto a quelle a combustione interna, è essenziale considerare l’intero ciclo di vita dei veicoli, dalla produzione allo smaltimento.


• Produzione e smaltimento: La fase di produzione delle auto elettriche, in particolare delle batterie, è più intensiva in termini di emissioni di CO₂ rispetto ai veicoli tradizionali. Tuttavia, durante l’utilizzo, le auto elettriche compensano ampiamente queste emissioni iniziali grazie all’assenza di combustione di carburanti fossili. Secondo uno studio ONG Transport&Environment, un’auto elettrica di medie dimensioni acquistata in Europa nel 2020 emetterà circa 20 tonnellate di CO₂ nel corso della sua vita, rispetto alle 57 tonnellate di un’auto a benzina equivalente.  


• Riduzione complessiva delle emissioni: Analisi basate sul mix energetico medio europeo indicano che le auto elettriche generano, nel loro ciclo di vita, il 55% in meno di emissioni di CO₂ rispetto ai veicoli a benzina e il 47% in meno rispetto ai diesel.  

L’efficienza dei veicoli elettrici è strettamente legata alla fonte di energia utilizzata per la ricarica.


• Rendimento energetico: I motori elettrici vantano un’efficienza superiore all’80%, nettamente superiore a quella dei motori motori termici. Questo significa che una maggiore percentuale di energia elettrica viene convertita in movimento, riducendo gli sprechi energetici.  


• Fonti rinnovabili: L’impatto ambientale delle auto elettriche diminuisce ulteriormente se l’energia utilizzata per la ricarica proviene da fonti rinnovabili. In questo scenario, le emissioni di CO₂ possono ridursi fino al 90% rispetto ai veicoli a gasolio.  

Oltre alla riduzione delle emissioni di gas serra, le auto elettriche offrono ulteriori vantaggi ambientali.


• Riduzione dell’inquinamento acustico: I motori elettrici sono significativamente più silenziosi rispetto ai motori a combustione, contribuendo a diminuire l’inquinamento acustico nelle aree urbane.  


• Miglioramento della qualità dell’aria: L’assenza di emissioni di ossidi di azoto e particolato dalle auto elettriche contribuisce a migliorare la qualità dell’aria, con benefici diretti sulla salute pubblica.  


Nonostante i vantaggi, la transizione completa verso le auto elettriche presenta alcune sfide.

• Produzione delle batterie: La fabbricazione delle batterie richiede risorse significative e comporta emissioni di CO₂. È fondamentale sviluppare tecnologie più sostenibili e processi di riciclo efficienti per minimizzare l’impatto ambientale.  

• Mix energetico nazionale: L’effettiva riduzione delle emissioni dipende dal mix energetico utilizzato per la produzione di elettricità. Paesi che ancora dipendono fortemente da combustibili fossili per la generazione elettrica potrebbero vedere benefici ridotti. Pertanto, l’incremento dell’uso di fonti rinnovabili è cruciale per massimizzare i vantaggi ambientali delle auto elettriche.  

Ma il fast fashion ha anche dei pro?

Milano, 20/09/2024

ll fast fashion è un fenomeno che ha rivoluzionato l’industria della moda negli ultimi decenni. Caratterizzato dalla produzione rapida e a basso costo di abbigliamento ispirato alle ultime tendenze, il fast fashion ha reso la moda accessibile a un pubblico più ampio.

Uno dei principali vantaggi del fast fashion è la sua accessibilità economica. Le aziende di fast fashion producono abbigliamento a prezzi molto bassi, rendendo le ultime tendenze della moda accessibili a una vasta gamma di consumatori. Questo ha permesso a persone di diverse fasce di reddito di partecipare al mondo della moda senza dover spendere cifre esorbitanti.


Il fast fashion è noto per la sua capacità di aggiornare costantemente le collezioni. Le aziende lanciano spesso nuove linee di abbigliamento, permettendo ai consumatori di rinnovare frequentemente il proprio guardaroba. Questo ciclo rapido di produzione e distribuzione consente ai consumatori di seguire le ultime tendenze in tempo reale.

Il fast fashion ha avuto un impatto significativo sull’economia globale. Le grandi catene di fast fashion, come Zara, H&M e Primark, hanno creato milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. Questi posti di lavoro non sono limitati solo alla produzione, ma includono anche la logistica, il marketing e la vendita al dettaglio. Inoltre, il fast fashion ha stimolato la crescita economica in molti paesi in via di sviluppo, dove è spesso localizzata la produzione di abbigliamento.


Il modello di business del fast fashion ha incoraggiato l’innovazione e la creatività nell’industria della moda. Le aziende devono essere rapide e flessibili per rispondere alle mutevoli tendenze del mercato. Questo ha portato a nuove tecniche di produzione, design innovativi e strategie di marketing creative. Inoltre, il fast fashion ha democratizzato la moda, permettendo a designer emergenti di raggiungere un pubblico più ampio.

Nonostante le critiche riguardanti l’impatto ambientale, il fast fashion ha dimostrato di essere economicamente sostenibile. Le aziende di fast fashion sono in grado di mantenere bassi i costi di produzione e di vendita, garantendo margini di profitto elevati. Questo modello di business ha permesso a molte aziende di crescere rapidamente e di espandersi a livello globale.

+3 gradi entro il 2100 e morti per il caldo triplicate

Milano, 26/08/2024

Secondo un recente studio del Joint Research Centre della Commissione Europea pubblicato su The Lancet Health, entro il 2100, il numero di morti per il caldo in Italia potrebbe triplicare, raggiungendo i 28 mila all’anno, se le temperature globali aumenteranno di 3 gradi Celsius.


L’Italia, come gran parte del Mediterraneo, sta già sperimentando un aumento delle temperature medie annuali. Gli scienziati prevedono che, senza interventi significativi per ridurre le emissioni di gas serra, le temperature globali potrebbero aumentare di 3 gradi Celsius entro la fine del secolo. Questo incremento avrebbe effetti devastanti sulla salute pubblica, sull’agricoltura, sull’ecosistema e sull’economia del paese.

L’aumento delle temperature comporta un incremento delle ondate di calore, che sono particolarmente pericolose per le persone anziane, i bambini e coloro che soffrono di malattie croniche. Le ondate di calore possono causare colpi di calore, disidratazione, insufficienza renale e altre condizioni mediche gravi. Secondo lo studio del Joint Research Centre, il numero di decessi legati al caldo in Italia potrebbe passare dagli attuali 10.433 a 28.285 entro il 2100.


Oltre alle conseguenze sulla salute, l’aumento delle temperature avrà un impatto significativo sull’economia italiana. L’agricoltura, uno dei settori più vulnerabili, potrebbe subire perdite ingenti a causa della siccità e delle condizioni meteorologiche estreme. Anche il turismo, una delle principali fonti di reddito per molte regioni, potrebbe risentire negativamente delle temperature estreme e della diminuzione della qualità dell’aria.

Per affrontare queste sfide, è essenziale implementare misure di adattamento efficaci. Queste includono la creazione di spazi verdi urbani per ridurre l’effetto isola di calore, l’adozione di tecnologie di raffreddamento efficienti e l’implementazione di piani di emergenza per le ondate di calore. Inoltre, è fondamentale promuovere la consapevolezza pubblica sui rischi legati al caldo e sulle misure preventive che possono essere adottate a livello individuale e comunitario.


Mentre le misure di adattamento sono cruciali, è altrettanto importante affrontare le cause alla radice del cambiamento climatico. Questo richiede un impegno globale per ridurre le emissioni di gas serra attraverso l’adozione di energie rinnovabili, l’efficienza energetica e la promozione di pratiche sostenibili. L’Accordo di Parigi rappresenta un passo importante in questa direzione, ma è necessario un impegno continuo e rafforzato da parte di tutti i paesi per limitare l’aumento delle temperature globali a 1,5 gradi Celsius.

Sulla cima del monte Bianco registrate temperature record

Milano, 15/08/2024

Dal 10 all’11 agosto, la temperatura sulla cima del Monte Bianco è rimasta sopra lo zero per 33 ore consecutive. Questo dato, registrato dalla stazione meteorologica automatica posizionata al Colle Major a 4.750 metri sul livello del mare, rappresenta un evento eccezionale e preoccupante. Secondo l’Arpa Valle d’Aosta, valori di temperatura così alti sono stati registrati anche in altre occasioni durante l’estate, ma mai per un periodo così prolungato.


La causa principale di questo fenomeno è il riscaldamento globale. Le emissioni di gas serra, derivanti principalmente dall’uso di combustibili fossili, hanno aumentato la temperatura media globale, influenzando anche le regioni montane. Inoltre, la polvere del Sahara, recentemente depositatasi sulla Mer de Glace, ha ridotto la capacità di riflessione della radiazione luminosa, favorendo ulteriormente la fusione della neve.


Le elevate temperature hanno avuto un impatto devastante sui ghiacciai del Monte Bianco. La fusione accelerata del ghiaccio ha portato a una riduzione significativa della copertura glaciale, mettendo a rischio l’ecosistema locale e aumentando il rischio di frane e valanghe. Un esempio tragico di queste conseguenze è il crollo di un seracco sotto la cima del Tacul, che ha provocato la morte di un alpinista e il ferimento di altri quattro.


Se queste tendenze climatiche continueranno, i ghiacciai del Monte Bianco potrebbero subire danni irreparabili. La perdita di ghiaccio non solo influenzerà l’ecosistema locale, ma avrà anche ripercussioni sulle risorse idriche della regione. I ghiacciai sono una fonte cruciale di acqua dolce, e la loro riduzione potrebbe portare a carenze idriche durante i mesi estivi.

Il Ghana è sommerso da rifiuti tessili del fast fashion

Milano, 24/07/2024

Negli ultimi anni, il Ghana è diventato il simbolo di una crisi globale legata ai rifiuti tessili, in gran parte provenienti dall’industria del fast fashion. Questo fenomeno ha trasformato il paese in una discarica a cielo aperto per abiti usati, con gravi conseguenze ambientali e sociali.

Il fast fashion è un modello di produzione e consumo di abbigliamento caratterizzato da cicli di vita dei prodotti estremamente brevi e da prezzi molto bassi. Questo modello ha portato a un aumento esponenziale della produzione di abiti, molti dei quali finiscono per essere scartati dopo pochi utilizzi. Secondo un rapporto di ABC News, ogni settimana arrivano ad Accra, la capitale del Ghana, circa 15 milioni di capi di abbigliamento usati provenienti da Europa, Nord America e Australia. Di questi, circa il 40% è di qualità così scadente da essere considerato inutilizzabile e finisce direttamente nelle discariche.


Le conseguenze ambientali di questo flusso incessante di rifiuti tessili sono devastanti. Le spiagge di Accra sono spesso ricoperte da montagne di abiti scartati, che non solo deturpano il paesaggio, ma rappresentano anche una minaccia per la fauna marina. I tessuti sintetici, in particolare, possono impiegare decenni o addirittura secoli per degradarsi, rilasciando nel frattempo microplastiche e altre sostanze chimiche nocive nell’ambiente.

Un altro aspetto critico è l’impatto sui sistemi di gestione dei rifiuti del Ghana. La città di Accra ha la capacità di trattare circa 2.000 tonnellate di rifiuti al giorno, ma ne produce quasi il doppio, in gran parte a causa dei rifiuti tessili. Questo sovraccarico mette a dura prova le infrastrutture locali e contribuisce alla proliferazione di discariche illegali.


Oltre agli effetti ambientali, il problema dei rifiuti tessili ha anche gravi ripercussioni sociali. Molti dei capi di abbigliamento usati vengono venduti nei mercati locali, come il famoso mercato di Kantamanto ad Accra, dove lavorano circa 30.000 persone. Tuttavia, la concorrenza è feroce e molti commercianti faticano a guadagnarsi da vivere. Inoltre, le condizioni di lavoro in questi mercati sono spesso precarie, con lavoratori che devono trasportare pesanti balle di abiti attraverso vicoli stretti senza l’ausilio di mezzi meccanici.

Affrontare il problema dei rifiuti tessili richiede un approccio che tocchi diversi aspetti. In primo luogo, è fondamentale ridurre la produzione e il consumo di abiti usa e getta. Questo può essere ottenuto attraverso campagne di sensibilizzazione che incoraggino i consumatori a fare scelte più sostenibili e a privilegiare la qualità rispetto alla quantità.


In secondo luogo, è necessario migliorare i sistemi di gestione dei rifiuti nei paesi destinatari. Investire in infrastrutture per il riciclaggio e il trattamento dei rifiuti tessili può aiutare a ridurre l’impatto ambientale e creare nuove opportunità di lavoro.

Infine, le aziende di fast fashion devono assumersi la responsabilità dei loro prodotti lungo tutto il ciclo di vita. Questo potrebbe includere l’implementazione di programmi di ritiro e riciclaggio degli abiti usati e l’adozione di pratiche di produzione più sostenibili.


Il problema dei rifiuti tessili in Ghana è un chiaro esempio delle conseguenze negative del fast fashion. Tuttavia, con un impegno concreto da parte di consumatori, aziende e governi, è possibile trovare soluzioni che riducano l’impatto ambientale e migliorino le condizioni di vita delle comunità colpite. Solo attraverso un cambiamento radicale nel modo in cui produciamo e consumiamo abbigliamento possiamo sperare di risolvere questa crisi globale.

La Sicilia va verso la desertificazione

Milano, 12/07/2024

La Sicilia è alle prese con una crisi idrica che si aggrava di giorno in giorno. Il continuo calo delle precipitazioni e l'aumento delle temperature stanno portando l'isola verso una situazione di estrema siccità. Secondo un rapporto del quotidiano britannico The Guardian, entro il 2030 una parte significativa della Sicilia potrebbe trasformarsi in un deserto. Questa previsione allarmante è stata fatta da Christian Mulder, professore di ecologia ed emergenza climatica all'Università di Catania, che ha paragonato il futuro della Sicilia alle aride terre dell'Africa settentrionale.


La situazione idrica sull'isola è drammatica: il livello degli invasi siciliani è sceso del 50% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Il lago di Pergusa, unico lago naturale della Sicilia, è ormai completamente a secco, diventando il simbolo di questa emergenza. La mancanza di piogge e le temperature record stanno prosciugando le riserve idriche dell'isola, costringendo le autorità a misure straordinarie.


Il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza per l'isola a maggio, stanziando 20 milioni di euro, una somma tuttavia inferiore ai 130 milioni richiesti dal governatore Renato Schifani. Per fronteggiare la crisi, la Regione ha annunciato la riapertura di un dissalatore a Porto Empedocle e ha chiesto una nave cisterna alla marina militare per rifornire le città di Agrigento e Gela. Inoltre, molte amministrazioni locali, inclusa quella di Palermo, hanno iniziato a razionare l'acqua, con interruzioni programmate delle forniture idriche.


L'intervista a Christian Mulder, riportata dal The Guardian, ha messo in luce le sfide future per la Sicilia. Mulder ha spiegato che "l'intera fascia che si affaccia sul Canale di Sicilia è destinata a una rapida desertificazione." La cattiva gestione delle risorse idriche e la mancanza di aggiornamenti agli antichi sistemi di gestione dell'acqua hanno contribuito a questa situazione critica. L'isola si trova ora a dover affrontare le conseguenze di decenni di negligenza e inefficienza nella gestione delle risorse idriche.


Nonostante gli sforzi delle autorità regionali e locali, gli aiuti tardano ad arrivare e i progetti approvati per affrontare la crisi idrica produrranno effetti tangibili solo tra diversi anni. Nel frattempo, le piante e gli animali delle attività agricole siciliane soffrono la sete e rischiano di morire con l'arrivo di nuove ondate di calore. Gli incendi, che l'anno scorso hanno distrutto oltre 693 ettari di vegetazione, aggravano ulteriormente la situazione, rendendo il territorio ancora più vulnerabile alla desertificazione.


Palermo ha recentemente ospitato l'Ispamed 2024, la Conferenza Internazionale sulla Siccità e l'Emergenza Idrica dei Paesi del Bacino del Mediterraneo. L'evento, organizzato dal Dipartimento di Scienze Agrarie dell'Università degli Studi di Palermo, ha visto la partecipazione di esperti internazionali che hanno presentato soluzioni innovative per la gestione delle risorse idriche. La conferenza ha offerto uno spazio per discutere tecnologie emergenti e pratiche sostenibili volte a mitigare gli effetti devastanti della siccità.


La Sicilia si trova di fronte a una crisi idrica senza precedenti, con previsioni di desertificazione che potrebbero trasformare l'isola entro pochi anni. La cattiva gestione delle risorse idriche e il cambiamento climatico hanno portato la Sicilia a un punto critico. Tuttavia, attraverso misure straordinarie e innovazioni tecnologiche, c'è ancora speranza di affrontare e mitigare gli effetti di questa emergenza. Le autorità regionali e locali, insieme alla comunità scientifica, devono collaborare per garantire un futuro sostenibile per l'isola.

Valle d’Aosta: ghiacciai a livelli record

Milano, 12/07/2024

Le campagne di monitoraggio condotte dall'Agenzia per l'Ambiente della Valle d'Aosta (Arpa VdA) hanno evidenziato accumuli nevosi eccezionali sui ghiacciai valdostani al termine della stagione invernale 2023/24. Le misurazioni, effettuate sui ghiacciai del Rutor e del Timorion, hanno rivelato dati straordinari, con valori che si collocano ai massimi storici degli ultimi vent'anni.

Il monitoraggio è iniziato con la misura degli accumuli nevosi, completata il 28 maggio sul ghiacciaio del Rutor e il 30 maggio sul ghiacciaio del Timorion. Dopo un inizio anno segnato da temperature superiori alla media, i mesi di aprile e maggio hanno visto un calo delle temperature e abbondanti precipitazioni, che ha permesso una conservazione ottimale del manto nevoso fino alla fine di maggio.


Sul ghiacciaio del Timorion, l'accumulo di acqua nella neve è stato tre volte superiore a quello della stagione 2022/23, raggiungendo il valore massimo della serie storica iniziata nel 2001.

Per il ghiacciaio del Rutor, la stagione 2023/24 si è posizionata al secondo posto per abbondanza di massa negli ultimi vent'anni. Le misurazioni manuali e geofisiche hanno rilevato un accumulo medio di 472 cm, con punte massime superiori ai 600 cm. La densità media del manto nevoso è stata di 455 kg/m³, con un accumulo specifico di 2.092 mm di equivalente d'acqua. Le tecniche utilizzate per queste misurazioni hanno incluso metodologie tradizionali e innovative, come il Ground Penetrating Radar (GPR), condotte dal Dipartimento DIATI del Politecnico di Torino.


I risultati delle campagne di monitoraggio dell'Arpa VdA mostrano un apporto nevoso uniforme e abbondante sui ghiacciai del Rutor e del Timorion, rompendo la consueta differenza dovuta alla loro posizione geografica. Questa uniformità potrebbe essere il risultato di cambiamenti nelle dinamiche delle perturbazioni atmosferiche, richiedendo ulteriori indagini per comprendere pienamente i fenomeni in atto.

I dati ottenuti sono cruciali per comprendere le dinamiche glaciali e per la gestione delle risorse idriche regionali. Gli abbondanti accumuli nevosi registrati sui ghiacciai valdostani rappresentano un importante indicatore delle condizioni climatiche e atmosferiche, evidenziando l'importanza di monitoraggi costanti e accurati per affrontare le sfide ambientali future.


In conclusione, la stagione invernale 2023/24 ha portato accumuli nevosi eccezionali sui ghiacciai valdostani, segnando un'importante tappa nella comprensione delle dinamiche glaciali. I dati raccolti dall'Arpa VdA contribuiranno a migliorare le strategie di gestione delle risorse idriche e a monitorare i cambiamenti climatici, fondamentali per preservare questi preziosi ecosistemi alpini.

Fonte: SNPA Ambiente

L'IA inquina: aumentano del 48% le emissioni di Google

Milano, 04/07/2024

Negli ultimi anni, Google ha affrontato una sfida significativa nella riduzione delle proprie emissioni di carbonio. Secondo un recente rapporto ambientale, le emissioni di gas serra dell'azienda sono aumentate del 48% dal 2019, raggiungendo 14,3 milioni di tonnellate di CO2 nel 2023. Questo incremento è stato attribuito principalmente all'espansione dei data center necessari per supportare l'intelligenza artificiale (IA), un fenomeno che ha interessato anche altri giganti della tecnologia come Amazon e Microsoft.


Google ha spiegato che l'integrazione dell'IA nei suoi prodotti ha aumentato notevolmente il fabbisogno energetico. I data center, che ospitano i server essenziali per il cloud computing e per gli strumenti di IA generativa come ChatGPT, richiedono una potenza di calcolo elevata, contribuendo così all'aumento delle emissioni. Nonostante gli sforzi per migliorare l'efficienza energetica e investire nelle energie rinnovabili, la costruzione di nuovi centri dati e l'ammodernamento di quelli esistenti continuano a rappresentare una sfida significativa.


Microsoft, come Google, ha registrato un aumento delle proprie emissioni. Dal 2020, le emissioni di Microsoft sono aumentate del 29%, con la costruzione di nuovi data center per l'IA come principale causa. La compagnia ha investito oltre 15 miliardi di dollari in infrastrutture legate all'IA in diversi paesi, tra cui Germania, Francia, Giappone e Indonesia. Nonostante queste sfide, sia Google che Microsoft rimangono impegnate a raggiungere l'obiettivo di zero emissioni nette entro il 2030, mentre Amazon mira a questo risultato entro il 2040.


L'espansione dell'IA non ha solo aumentato le emissioni di carbonio ma ha anche incrementato il consumo di acqua utilizzata per il raffreddamento dei data center. Nel 2023, Google ha registrato un aumento del 17% nel consumo di acqua rispetto all'anno precedente. Questo incremento nel consumo energetico e idrico ha superato le capacità dell'azienda di attivare nuovi progetti di energia pulita, specialmente negli Stati Uniti e nella regione Asia-Pacifico.


La responsabile della sostenibilità di Google, Kate Brandt, ha riconosciuto che raggiungere l'obiettivo di zero emissioni nette entro il 2030 è estremamente ambizioso e che le emissioni potrebbero continuare a crescere nel breve termine. Tuttavia, ha sottolineato l'impegno dell'azienda a perseguire questo obiettivo nonostante le difficoltà.

La Puglia si conferma regina del mare pulito

Milano, 27/06/2024

Per il quarto anno consecutivo, la Puglia si è affermata come la regione con il mare più pulito d'Italia. Il Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (Snpa) ha recentemente pubblicato i dati relativi alla qualità delle acque di balneazione per il 2024, confermando il primato della Puglia. Questo traguardo eccezionale non solo celebra la bellezza naturale della regione, ma anche l'impegno costante verso la tutela ambientale.

Il Snpa ha svolto un'opera di monitoraggio capillare lungo le coste italiane, analizzando circa 26.000 campioni di acqua di mare e oltre 2.300 campioni di acque di fiumi e laghi nel corso degli ultimi quattro anni (2020-2023). I parametri microbiologici analizzati sono stati la concentrazione di Escherichia coli e degli enterococchi intestinali, due indicatori chiave della qualità delle acque.


I prelievi sono stati effettuati escludendo le aree dove la balneazione è permanentemente vietata, come foci di fiumi, porti, aree militari e zone protette. La classificazione delle acque di balneazione si basa su quattro categorie: eccellente, buona, sufficiente e scarsa.

Secondo i dati del Snpa, l'Italia può vantare un mare "eccellente" su larga scala. Dei 5.325,8 chilometri di costa monitorati, il 95,6% è stato giudicato di qualità eccellente, una percentuale superiore alla media degli altri Paesi dell'Unione Europea. Ecco le regioni italiane che hanno ottenuto i migliori risultati:

  1. Puglia: 99,7%
  2. Friuli Venezia Giulia: 99%
  3. Sardegna: 98,4%
  4. Toscana: 98,2%


In Puglia, su 882,8 chilometri di costa adibiti alla balneazione, ben 880 chilometri sono stati valutati come eccellenti. Solo una minima parte della costa (0,3%) è stata classificata come buona o sufficiente, mentre nessun tratto è stato identificato come "scarso".

Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha espresso grande soddisfazione per questo risultato: "Per il quarto anno consecutivo la Puglia ha il mare più pulito d’Italia, un risultato per il quale dobbiamo ringraziare i pugliesi, i comuni, i sindaci, l’Acquedotto pugliese per i depuratori, la disciplina delle imprese, per un risultato di squadra davvero straordinario".


Anche altre regioni italiane hanno ottenuto risultati eccellenti. Il Friuli Venezia Giulia ha registrato il 99% della sua costa con qualità eccellente, seguito dalla Sardegna (98,4%) e dalla Toscana (98,2%). Anche regioni come la Liguria e la Campania hanno ottenuto buoni risultati, con il 90,2% delle loro coste classificate come eccellenti. Tuttavia, regioni come l'Abruzzo (89,7%) e la Calabria (89,6%) hanno registrato percentuali leggermente inferiori.

La conferma della Puglia come la regione con il mare più pulito d'Italia per il quarto anno consecutivo rappresenta non solo un motivo di orgoglio, ma anche una responsabilità. La tutela ambientale richiede un impegno costante e un monitoraggio continuo per mantenere e migliorare la qualità delle acque di balneazione. Le buone pratiche adottate in Puglia possono servire da modello per altre regioni italiane e per i Paesi vicini.


Il successo della Puglia nella classifica del mare più pulito d'Italia per il 2024 è il frutto di un lavoro collettivo che coinvolge le autorità locali, le imprese e i cittadini. Questo risultato dimostra che è possibile conciliare lo sviluppo turistico con la tutela ambientale, offrendo al contempo un esempio di eccellenza per tutto il Paese. La strada da percorrere è ancora lunga, ma i risultati ottenuti finora sono un segnale positivo per il futuro della gestione costiera in Italia.

Uno studio USA ha rivelato come sarà il clima nel 2080

Milano, 9/07/2024

Come sarà il clima delle nostre città tra sessant'anni? Uno studio dell'Università del Maryland, guidato dall'ecologo Matthew Fitzpatrick, ha cercato di rispondere a questa domanda con il progetto "The Future Urban Climates". Questa iniziativa, basata sui dati del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), offre una visione delle condizioni climatiche future di oltre 40.000 luoghi nel mondo, tra cui molte città italiane. Attraverso una mappa interattiva online, è possibile confrontare il clima futuro delle città con quello attuale di altre località che già oggi presentano condizioni simili a quelle previste per il 2080.

Secondo le proiezioni, il clima di Roma nel 2080 sarà paragonabile a quello attuale di Berat, una città in Albania. Questo significa che gli inverni romani saranno caratterizzati da un aumento dell'umidità del 3%. Tale cambiamento potrebbe avere implicazioni significative per la vita quotidiana, l'agricoltura e le infrastrutture della capitale italiana. L'analisi mostra come il progressivo riscaldamento globale, causato principalmente dall'aumento delle emissioni di CO2 e altri gas serra, influenzerà in modo tangibile le condizioni climatiche.

Le previsioni per Milano sono ancora più preoccupanti. Entro il 2080, la città lombarda potrebbe sperimentare un aumento della temperatura media estiva di ben 6,5 gradi. Questo cambiamento renderebbe Milano molto più calda rispetto ad oggi, con estati potenzialmente insopportabili e un impatto significativo sulla salute pubblica, il consumo energetico e la qualità della vita urbana.

"The Future Urban Climates" non è solo un semplice esercizio di previsione, ma uno strumento educativo potente che rende i cambiamenti climatici più comprensibili e tangibili per il pubblico. La mappa interattiva permette agli utenti di esplorare come le città di tutto il mondo si trasformeranno entro il 2080. Ad esempio, per comprendere il futuro climatico di New York, basta confrontarlo con Ola, in Arkansas, dove le condizioni attuali rispecchiano quelle previste per la metropoli americana tra sessant'anni.

Questi scenari futuri evidenziano la necessità urgente di affrontare il cambiamento climatico attraverso politiche ambientali più rigide e una riduzione significativa delle emissioni di gas serra. Le proiezioni per Roma e Milano sono solo esempi di come le città di tutto il mondo potrebbero trasformarsi, con impatti che si estenderanno a vari settori, dalla sanità pubblica alla pianificazione urbana.

L'IPCC ha ripetutamente avvertito che senza interventi drastici e immediati, il riscaldamento globale continuerà ad accelerare, portando a cambiamenti climatici estremi che colpiranno duramente le aree urbane. Le città, infatti, sono particolarmente vulnerabili agli effetti del riscaldamento globale a causa della loro alta densità di popolazione e delle infrastrutture spesso obsolete.

Oltre 1000 morti durante il pellegrinaggio alla Mecca

Milano, 22/06/2024

 Una tragedia senza precedenti si è abbattuta sui pellegrini alla Mecca durante il Hajj, il pellegrinaggio annuale ai luoghi sacri dell’Islam. Con temperature che hanno raggiunto picchi di 52 gradi, la strage ha causato la morte di oltre mille fedeli, molti dei quali avevano investito migliaia di euro per compiere questo viaggio spirituale.

Il caldo estremo è stato il principale nemico dei pellegrini quest’anno. Nonostante i tentativi delle autorità saudite di fornire sollievo attraverso distributori d’acqua e nebulizzatori, il calore ha avuto la meglio, causando numerosi decessi, soprattutto tra donne e anziani. La situazione è stata aggravata dalla mancanza di un riparo adeguato dal sole cocente e dalla scarsità di risorse idriche.


Il pellegrinaggio alla Mecca è un obbligo per ogni musulmano che sia fisicamente e finanziariamente capace di intraprenderlo. Tuttavia, il costo del viaggio può essere proibitivo, con alcuni pellegrini che spendono migliaia di euro per partecipare. Questo investimento non ha garantito, purtroppo, la sicurezza o il confort necessario per affrontare le condizioni estreme del deserto saudita.

Le autorità saudite hanno istituito una sala operativa per coordinare le ricerche e l’assistenza ai pellegrini colpiti dalla tragedia. Tuttavia, la gestione dell’emergenza è stata oggetto di critiche, con accuse di inadeguatezza e mancanza di preparazione per un evento annuale noto per il suo grande afflusso di fedeli.


Un problema significativo è rappresentato dai pellegrini non registrati. Le autorità richiedono una domanda formale per partecipare al Hajj e accettano un numero limitato di persone per evitare sovraffollamenti. Tuttavia, molti decidono di intraprendere il viaggio senza la registrazione ufficiale, aumentando il rischio di incidenti e complicando gli sforzi di soccorso.

Napoli si avvicina al 50% di raccolta differenziata

Milano, 22/06/2024

Napoli, nota per i suoi problemi e difficoltà nella gestione dei rifiuti, sta ora scrivendo un nuovo capitolo. Il sindaco Gaetano Manfredi, durante il Green Med Symposium, un evento che si pone come punto di riferimento nel Mezzogiorno sui temi della green e circular economy, ha detto: «Il nostro obiettivo è arrivare al 50 per cento, come indicato anche nel piano industriale di Asia, e in parallelo migliorare la qualità della differenziata soprattutto per quello che riguarda la raccolta dell'umido».


L’obiettivo dichiarato è quindi chiaro e ambizioso: raggiungere il 50% di raccolta differenziata. Non si tratta di un semplice numero, ma del simbolo di un cambiamento profondo nella gestione dei rifiuti e nella coscienza collettiva. Il percorso per arrivare a tale risultato è stato delineato nel piano industriale di Asia, l’azienda del Comune di Napoli che si occupa della gestione dei rifiuti.


Per supportare questo obiettivo, sono stati fatti investimenti significativi. Il sindaco Manfredi ha parlato dei nuovi mezzi per la raccolta differenziata e delle assunzioni di personale. Inoltre, è stato firmato il contratto per la realizzazione di un impianto di compostaggio a Ponticelli, che sarà il primo nel territorio della città. Questo impianto avrà la capacità di trattare 30.000 tonnellate di rifiuti organici all’anno, producendo compost di qualità e biometano. L’assessore all’ambiente del Comune di Napoli Vincenzo Santagada si è espresso così: “L’impianto consentirà il trattamento e la valorizzazione dei rifiuti organici derivanti dalla raccolta differenziata cittadina, per una capacità di 30.000 tonnellate l’anno. Il processo utilizzato è completamente biologico e consente di recuperare sia biometano che il compost, sostanza organica da immettere nella filiera agronomica. Il risparmio ottenuto dal recupero attraverso il nuovo impianto consentirà di ridurre fortemente le spese attualmente sostenute e ciò può consentire di ridurre in futuro la tariffa TARI, applicando la strategia indicata dal Sindaco Gaetano Manfredi”.


Nonostante l’ottimismo, ci sono state anche critiche. Alcuni sostengono che la città avrebbe dovuto raggiungere una percentuale di raccolta differenziata del 65% già dal 2012. Queste voci critiche sottolineano l’importanza di non fermarsi ai successi attuali, ma di spingere verso obiettivi ancora più elevati.

Il futuro della raccolta differenziata a Napoli sembra promettente. Con l’imminente apertura del cantiere per l’impianto di compostaggio a Ponticelli, la città si avvicina al suo obiettivo del 50%. Questo impianto non solo tratterà i rifiuti organici, ma contribuirà anche alla produzione di energia rinnovabile, chiudendo il cerchio dell’economia circolare.

ONU: “L’umanità non è in pericolo, è il pericolo”

Milano, 16/06/2024

Negli ultimi dodici mesi, il nostro pianeta ha registrato temperature record, suscitando preoccupazioni globali e spingendo l’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) a lanciare un allarme senza precedenti. Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha dichiarato: "Non siamo in pericolo. Siamo il pericolo. L’umanità è come il meteorite che sterminò i dinosauri".

Secondo il servizio di monitoraggio europeo Copernicus, il mese di maggio 2024 è stato il dodicesimo mese consecutivo con temperature mai registrate prima. La temperatura media globale in questo periodo è stata di 1,63 °C più elevata rispetto all’era pre-industriale. Questo dato allarmante indica che stiamo rapidamente avvicinandoci al superamento dell’obiettivo di 1,5 °C previsto dall’Accordo di Parigi.


Il riscaldamento globale è causato principalmente dall’aumento delle emissioni di gas serra, come l’anidride carbonica (CO2) e il metano (CH4), derivanti dalle attività umane. La combustione di combustibili fossili, la deforestazione e l’agricoltura intensiva sono tra i principali responsabili di queste emissioni. L’uso massiccio di combustibili fossili per la produzione di energia e il trasporto ha contribuito in modo significativo all’aumento delle concentrazioni di CO2 nell’atmosfera.

Le conseguenze del riscaldamento globale sono già evidenti in molte parti del mondo. Le ondate di calore estremo, come quelle che hanno colpito l’India, hanno causato numerosi decessi e gravi danni alla salute pubblica. Inoltre, l’aumento delle temperature ha portato a fenomeni meteorologici estremi, come uragani, inondazioni e siccità, che hanno devastato intere comunità e causato ingenti perdite economiche.


In occasione della Giornata mondiale dell’Ambiente, António Guterres ha lanciato un appello urgente ai leader mondiali per adottare misure immediate e decisive per affrontare la crisi climatica. Guterres ha paragonato l’umanità al meteorite che ha causato l’estinzione dei dinosauri, sottolineando che siamo noi stessi il pericolo più grande per il nostro pianeta. Tuttavia, ha anche affermato che abbiamo ancora la possibilità di invertire la rotta e salvare il nostro pianeta, ma è necessario agire rapidamente e con determinazione.

Per affrontare la crisi climatica, l’Onu ha proposto una serie di misure che includono l’abbandono dei combustibili fossili e l’investimento nelle energie rinnovabili. Inoltre, è fondamentale ridurre le emissioni di gas serra attraverso politiche di efficienza energetica e la promozione di pratiche agricole sostenibili. Anche il superamento del sistema di allevamento intensivo è una priorità, poiché contribuisce significativamente alle emissioni di metano.


A livello globale, sono già in corso diverse iniziative per combattere il cambiamento climatico. L’Unione Europea ha adottato il Green Deal europeo, un piano ambizioso per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Negli Stati Uniti, l’amministrazione Biden ha annunciato un piano per ridurre le emissioni di gas serra del 50-52% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005. Anche la Cina, il più grande emettitore di CO2 al mondo, ha promesso di raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2060.

Dopo 60 anni è comparsa una foca in Sicilia

Milano, 06/06/2024

Dopo un’assenza di oltre sessant’anni, le coste siciliane sono state testimoni di un evento eccezionale: l’avvistamento di una foca monaca (Monachus monachus) nelle acque del Plemmirio, un’area marina protetta nel territorio di Siracusa. Questo avvistamento non solo ha suscitato meraviglia e interesse tra gli abitanti e i biologi, ma ha anche acceso una discussione sulla biodiversità marina e la conservazione delle specie in pericolo.

Il ritorno della foca monaca è diventato noto grazie a un video divenuto virale sui social media, che mostrava l’animale mentre nuotava serenamente nelle acque calde del Plemmirio. Il testimone dell’evento, Emanuele Liali, si è imbattuto casualmente nella scena dopo che strani rumori provenienti dall’acqua hanno attirato la sua attenzione. La foca, intenta a pescare, è stata vista cibarsi di una murena o un barracuda, un comportamento che sottolinea la ricchezza e la vitalità dell’ecosistema marino locale.


La presenza di questo mammifero marino è stata interpretata come un indicatore positivo dello stato di salute dei mari siciliani. Patrizia Maiorca, presidente dell’associazione che gestisce l’area marina protetta, ha espresso una certa cautela, sottolineando che un singolo avvistamento non è sufficiente per affermare che la foca monaca possa stabilirsi definitivamente nelle acque del Plemmirio. Tuttavia, ha riconosciuto che l’evento è un segnale promettente.


La foca monaca è una delle specie di mammiferi più minacciate del pianeta, con una popolazione mondiale stimata in soli 700 individui. Un tempo comune nelle acque siciliane, soprattutto durante la stagione riproduttiva, la foca monaca ha subito un drastico calo demografico a causa dell’eccessiva presenza di pescatori e turisti sulle coste.

Milano: dal 3 al 9 giugno si terrà la One Ocean Week

Milano, 28/05/2024

Milano, per una settimana, si trasformerà in un porto di conoscenza e sensibilizzazione marina con la celebrazione della One Ocean Week 2024. 

Dal 3 al 9 giugno, la città si immergerà in un blu profondo ricco di eventi, conferenze e laboratori didattici.

La One Ocean Week, giunta alla sua quarta edizione, è un’iniziativa promossa dalla One Ocean Foundation, che si dedica a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della tutela degli ecosistemi marini. L’evento si svolge in varie location della città, tra cui l’Università Bocconi, l’Acquario Civico e il Museo di Storia Naturale.


Uno dei temi centrali della settimana è l’economia sostenibile, con il Blue Economy Summit presso l’Università Bocconi che evidenzia l’importanza di investire in un’economia sostenibile che tuteli il capitale naturale blu.

La scienza sarà un altro tema fondamentale, con laboratori e incontri con esperti scientifici che approfondiranno la conoscenza dell’acqua come risorsa preziosa e fondamentale per la vita. Gli eventi educativi si terranno all’Acquario Civico e al Museo di Storia Naturale, offrendo un’immersione nelle profondità marine per comprendere come tutto in natura è collegato.

La cultura e l’arte celebreranno il mito dell’oceano attraverso diverse forme artistiche, dalla letteratura all’arte, dalla musica alla fotografia, creando un dialogo tra la città e il mare.


La One Ocean Week rappresenta un’occasione unica per i milanesi e i visitatori di conoscere meglio il mondo marino e scoprire come contribuire attivamente alla sua salvaguardia. L’evento dimostra che anche una città lontana dal mare può avere un impatto significativo nella protezione degli oceani.

Sette falsi miti sulla raccolta differenziata

Milano, 16/05/2024

La raccolta differenziata è un pilastro fondamentale della sostenibilità ambientale, ma nonostante la sua importanza, circolano numerosi miti e malintesi che possono confondere i cittadini e compromettere l’efficacia di questo processo.


Mito 1. È necessario lavare gli imballaggi prima di differenziarli: uno dei miti più diffusi riguarda la necessità di lavare gli imballaggi prima di gettarli nei contenitori per la raccolta differenziata. Tuttavia, questo non è necessario. Residui minimi di cibo o bevande non compromettono il processo di riciclo. È sufficiente svuotare gli imballaggi dal loro contenuto.


Mito 2. Il cartone della pizza sporco non può essere riciclato: Molti credono che il cartone della pizza, se sporco di olio o cibo, debba essere scartato e non possa essere inserito nel riciclo della carta. Questo non è vero. Se il cartone è solo leggermente unto, può essere inserito nel contenitore della carta. Solo se è eccessivamente sporco, la parte contaminata dovrebbe essere separata e smaltita diversamente.


Mito 3. Le etichette devono essere rimosse dai vasetti di vetro: un altro equivoco comune è che le etichette debbano essere rimosse dai vasetti di vetro prima di gettarli nel contenitore per il vetro. In realtà, le etichette vengono separate successivamente durante il processo di riciclo.


Mito 4. Specchi e ceramica vanno nel vetro: spesso si pensa che oggetti come specchi o ceramica debbano essere inseriti nel contenitore del vetro. Questo è incorretto. Gli oggetti in ceramica e gli specchi non sono riciclabili attraverso i normali contenitori per il vetro e dovrebbero essere portati nei centri di raccolta comunali.


Mito 5. Tutti i tipi di carta sono riciclabili: esiste la convinzione che ogni tipo di carta possa essere riciclato. In realtà, alcuni tipi di carta, come quella termica degli scontrini o carta oleata, non sono adatti al riciclo tradizionale.


Mito 6. La plastica va sempre lavata prima di essere riciclata: questo è un altro mito che persiste nonostante le indicazioni dei consorzi di filiera. Non è necessario lavare gli imballaggi in plastica prima di inserirli nel contenitore per la raccolta. È sufficiente svuotarli del loro contenuto. Lavare gli imballaggi potrebbe comportare uno spreco d’acqua e non è richiesto dal processo di riciclaggio.


Mito 7. I rifiuti vengono comunque mischiati nei camion della raccolta: molti credono che, nonostante la raccolta differenziata, i rifiuti vengano poi mischiati durante il trasporto. Questo non è vero. I camion utilizzati per la raccolta differenziata sono strutturati per mantenere separati i diversi materiali, facilitando così il successivo processo di riciclaggio.

La Francia dichiara guerra al Fast Fashion

Milano, 09/05/2024

In un mondo dove la moda veloce si sta diffondendo sempre più rapidamente, consumando risorse e inquinando in maniera preoccupante, La Francia si erge come faro di speranza per arginare questo fenomeno. Parigi, la capitale francese conosciuta per essere uno dei cuori pulsanti dell’alta moda, ha recentemente approvato una misura rivoluzionaria che potrebbe riscrivere le regole del gioco per l’industria della moda globale.

Il fast fashion è un termine utilizzato per descrivere un modello di business che accelera il processo di produzione e vendita di abbigliamento a basso costo, permettendo ai consumatori di acquistare nuovi capi a un ritmo frenetico. Tuttavia, questo approccio ha un costo ambientale e sociale elevato. L’industria della moda è responsabile del 10% delle emissioni globali di gas serra e di un consumo d’acqua spropositato, senza contare l’impatto dei rifiuti tessili.


Il 14 marzo 2024, l’Assemblea Nazionale francese ha approvato all’unanimità una proposta di legge che mira a “limitare gli eccessi” del fast fashion. Questa legge, che ora attende l’esame del Senato, prevede una serie di misure innovative:

  • Sovrapprezzi: Un sovrapprezzo sarà applicato ai capi di abbigliamento, iniziando da cinque euro per capo e potenzialmente raddoppiando a dieci euro entro il 2030.
  • Promozione del riuso: Le piattaforme di e-commerce dovranno promuovere il riuso e la riparazione dei capi.
  • Limiti alla pubblicità: Verranno imposti limiti alle pubblicità che incoraggiano l’acquisto di abiti prodotti dai colossi del fast fashion.
  • Tassa ambientale: Sarà introdotta un’imposta ambientale sui vestiti a basso costo. I proventi di questa tassa saranno utilizzati per sovvenzionare i produttori di abbigliamento sostenibile.


Se la legge dovesse essere approvata, la Francia diventerebbe la prima nazione a legiferare contro gli impatti negativi del fast fashion sull’ambiente. Questo potrebbe innescare un effetto domino, spingendo altre nazioni a seguire l’esempio francese.

Nonostante l’entusiasmo, ci sono anche critiche e preoccupazioni. Alcuni temono che le restrizioni pubblicitarie possano danneggiare l’industria della moda. Inoltre, c’è il rischio che i costi aggiuntivi possano essere trasferiti ai consumatori, limitando potenzialmente l’accesso a vestiti economici per chi ha un budget ridotto.

La proposta di legge francese rappresenta un passo coraggioso verso un futuro più sostenibile. Con l’attenzione rivolta al riciclo, al riuso e alla responsabilità ambientale, Parigi sta tracciando un nuovo percorso per l’industria della moda.

L’impatto ambientale del fast fashion è devastante

Milano, 29/04/2024

Il fast fashion è un fenomeno che ha rivoluzionato l’industria della moda, rendendo l’abbigliamento più accessibile ma a un costo nascosto molto elevato. Questo modello di business si basa sulla produzione massiccia di capi d’abbigliamento a basso costo, progettati per essere indossati per un breve periodo e poi sostituiti da nuovi modelli in un ciclo continuo di consumo.


Il concetto di fast fashion ha origine durante la rivoluzione industriale, ma è solo negli anni 2000 che ha preso il volo, con marchi come H&M e Zara che hanno introdotto il modello di business che conosciamo oggi. Queste aziende hanno trasformato il modo in cui i consumatori acquistano abbigliamento, con nuove collezioni che vengono lanciate quasi settimanalmente, a prezzi incredibilmente bassi.


L’impatto ambientale del fast fashion è devastante. Ogni anno, vengono prodotti più di 100 miliardi di capi, e un camion pieno di vestiti viene scaricato in una discarica ogni secondo. L’industria sta aumentando in maniera preoccupante l’inquinamento globale, contribuendo all’esaurimento delle risorse naturali, all’inquinamento dell’acqua e dell’aria, e alla generazione di rifiuti tessili.


Sul fronte sociale, il fast fashion spesso si basa su pratiche di lavoro non etiche, con violazioni dei diritti dei lavoratori, sfruttamento della manodopera minorile e condizioni di lavoro insicure. Queste pratiche sono particolarmente diffuse nei paesi in via di sviluppo, dove le normative ambientali e sociali sono meno rigorose.

Negli ultimi anni, ci sono state numerose campagne da parte di organizzazioni come Greenpeace e Extinction Rebellion per sensibilizzare il pubblico sugli effetti negativi del fast fashion. Queste campagne hanno portato alcuni marchi a promuovere scelte “sostenibili”, ma spesso queste iniziative sono state criticate per essere poco più che greenwashing.


Per contrastare gli effetti negativi del fast fashion, è necessario promuovere un consumo più consapevole e sostenibile. Questo include l’acquisto di abbigliamento di seconda mano, il riciclo dei tessuti e il supporto a marchi che adottano modelli di produzione etici e rispettosi dell’ambiente. Inoltre, è fondamentale che i consumatori siano informati e consapevoli dell’impatto delle loro scelte di acquisto.

La rete idrica italiana fa acqua da tutte le parti

Milano, 23/04/2024

L’approvvigionamento idrico è essenziale per la vita umana e il benessere della popolazione. Tuttavia, in Italia, la rete idrica presenta gravi perdite che influenzano sia l’ambiente che la disponibilità di acqua potabile per le persone.

Secondo l’ultimo report dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), le perdite nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile nell’anno 2022-2023 avrebbero potuto soddisfare le esigenze idriche di circa 43,4 milioni di persone per un intero anno. Questo dato è impressionante e sottolinea l’entità del problema.

In media, il 36,2% dell’acqua trasportata dalla rete idrica in Italia non raggiunge il consumatore finale. Nel 2020, sono stati immessi in rete 2,4 miliardi di metri cubi di acqua, ma 0,9 miliardi di metri cubi sono andati dispersi. Questo equivale a una perdita giornaliera di 41 metri cubi per ogni chilometro di rete. Le perdite non sono uniformemente distribuite sul territorio italiano. 

Mentre il nord-est della penisola ha valori contenuti, il centro-sud e le isole presentano perdite significative. In particolare, Abruzzo, Basilicata, Sardegna, Molise e Sicilia si posizionano tra le regioni con le maggiori perdite idriche, con valori superiori al 50%.


Cause delle perdite

Le perdite totali di rete sono attribuibili a diversi fattori:

  • Fattori fisiologici: In tutte le infrastrutture idriche, esistono perdite inevitabili dovute a fattori fisiologici.
  • Inefficienze: Nonostante gli sforzi dei gestori del servizio idrico, la quantità di acqua dispersa continua a rappresentare un volume considerevole.

Le perdite idriche hanno impatti significativi sull’ambiente e l’economia. Riducono la disponibilità di acqua potabile, aumentano i costi di produzione e contribuiscono allo spreco di una risorsa preziosa. È fondamentale affrontare questo problema con azioni mirate e immediate per garantire una gestione ottimale della rete idrica e preservare l’acqua per le generazioni future.

Nucleare, il ministro Pichetto e i reattori a Mirafiori

Milano, 10/04/2024

Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha aperto alla possibilità di produrre reattori nucleari di quarta generazione nel sito di Mirafiori, uno stabilimento di Stellantis a Torino. Questa proposta è stata avanzata durante un convegno sul nucleare di quarta generazione presso palazzo civico a Torino.


Pichetto ha proposto Newcleo, una startup italiana che ha pianificato 3 miliardi di euro di investimenti per produrre piccoli reattori nucleari a neutroni. Questi reattori sfruttano il combustibile esaurito di altre centrali nucleari per alimentarsi. Il primo reattore, da 200 MWe, verrà installato in Francia nel 2031.

Secondo Pichetto, se Newcleo prosegue con i suoi progetti, potrebbe essere possibile produrre questi reattori “puliti” proprio a Mirafiori: «Le stime sono di due miliardi circa per la costruzione di ogni piccolo reattore nucleare di quarta generazione con ricadute occupazionali e di qualificazione professionale. Significa davvero un passo verso il futuro».


Il futuro delle rinnovabili sembra passare da questi piccoli reattori nucleari, che producono energia pulita e sono più sicuri rispetto ai vecchi reattori nucleari, utilizzati ancora in molti paesi, come sottolinea Pichetto: «Nell’immediato futuro, alla fine di questo decennio e all’inizio del prossimo la ricerca e la sperimentazione vanno verso quelli che sono definiti piccoli reattori, che danno maggiori garanzie di praticità, di sicurezza e in termini di energia rinnovabile. Il nucleare dà continuità, le energie rinnovabili ordinarie come fotovoltaico ed eolico non sono in grado di dare continuità, invece questo è un modo per integrare la produzione a livello nazionale».


Tuttavia, l’idea non è gradita ai sindacati metalmeccanici, che chiedono nuovi modelli e un piano di assunzioni per la fabbrica torinese. Pichetto ha precisato che si tratta di un’ipotesi teorica e che la speranza è che Mirafiori continui innanzitutto a produrre auto: «È un’ipotesi teorica, siamo ancora in fase di ricerca. In linea teorica i reattori si possono costruire ovunque anche a Mirafiori. La mia speranza è che a Mirafiori si continui innanzitutto a produrre auto».

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